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The Gaslight Anthem: The ’59 Sound

Radici punk in un terreno di soul e rock classico. Conciliazione impossibile? Non è quello che sembra dalle dodici tracce che riescono in un certo senso a trascendere prospettive di generi e stereotipi. A detta di molti l'album punk rock dell'anno

The Gaslight Anthem

The’59 Sound

(Cd, Side One Dummy Records, 2008)

rock

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Radici punk in un terreno di soul e rock classico. Conciliazione impossibile? Non è quello che sembra dalle dodici tracce che riescono in un certo senso a trascendere prospettive di generi e stereotipi. A detta di molti l’album punk rock dell’anno. Dal New Jersey, The Gaslight Anthem, con un “sound” non proprio nuovo…

Ritornano i 4 ragazzi di provincia cresciuti respirando Bruce Springsteen, Tom Waits, Otis Redding e Tom Petty. Da due anni e mezzo nel vivo della musica e ancora si stupiscono del loro successo, un album e un ep in attivo (Sink or Swim e Señor And The Queen), sei settimane in studio con Ted Hutt per firmare il nuovo album The ’59 Sound, tre ottimi video (diretti da Kevin Custer e Kevin Slack) che fluttuano nel web. I Gaslight Anthem non fanno una grinza.

Ottimi testi, intelligenti e mai banali. Uno storytelling fatto di donne e motori, maschiacci pieni di tatuaggi ma dai cuori spezzati e rimandi continui ai mostri sacri – dalle “anche” della Monroe a Miles Davis – con uno spiffero del Boss che passa costante in tutti i pezzi. Un manifesto dell’identità fatta di miti e frasi che sono rimaste celebri nella memoria come scritti nel sangue. Il manifesto, infondo, della loro generazione.

Le tracce sono facili, leggere e anche troppo orecchiabili. Il continuo flusso del loro stampo musicale può far apparire l’album come un’accozzaglia di brani molto simili tra loro. Ed è la sensazione che si prova quando ti ritrovi nel silenzio della playlist finita. Quando sono passati 42 minuti e non te ne sei reso nemmeno conto perché era come se fosse passata una traccia unica. Invece, nonostante questa impressione iniziale, ad ogni ascolto è possibile intercettare elementi sempre nuovi.

In realtà, andando oltre le apparenze, come siamo soliti fare, scopriamo un disco che si apre con il pessimismo di Great Expectation dal ritmo sostenuto e dal tono robusto, ma non particolarmente scatenato, e che si chiude con l’immagine di una fuga ottimista con il rock sparato dritto in faccia di The Backseats. Nel mezzo di questo percorso ci sono i riff by Telecaster e una voce sapientemente graffiante in The ’59 Sound. L’accensione del motore con cui inizia Old White Lincoln, perfetta per un tormentone, richiama la passione per le auto in pieno stile highway Usa. High Lonesome spicca per bellezza e purezza del testo. L’atmosfera si fa tenue con Film noir ma la voce più cattiva e decisa risalta meglio quando non sono anche gli strumenti ad essere aggressivi. Sensazione che continua con Miles Davis & The Cool. Casanova, Baby, ma soprattutto The Patient Ferris mostrano tutta la grinta di cui sono capaci Brian Fallon (voce/chitarra), Alex Levine (basso), Benny Horowitz (batteria), Alex Rosamilia (chitarra) in un pezzo a tutto punk, quello degli inizi, nonostante i cori un po’ improbabili…

Il picco di massima qualità arriva nella zona bassa dell’album. Tra cui la migliore: Even Cowgirls Get The Blues, un pezzo dalla profonda intensità, pervaso da quel country blues di fronte al quale è impossibile rimanere indifferenti, che riversa le sue escandescenze nel più succoso rock. Degna di ogni lode anche Meet Me By The River’s Edge, in cui aleggiano aliti di Springsteen e Dylan. Per arrivare alla traccia conclusiva attraverso una ballad romantica e profonda Here’s Looking At You, Kid che finalmente dà una sterzata distaccandosi ritmicamente dalle altre tracce.

Niente di eccessivamente nuovo. Ma dobbiamo ammettere che è un arte anche il saper combinare. Cosa che fanno magistralmente i Gaslight Anthem. Passato e presente, testi squisitamente punk e forti lead di chitarra, soul e punk anni ’70: è possibile trovarsi spaesati in un viaggio cinematografico che, attraverso malinconia, euforia, voglia di rivalsa, ottimismo e rimorso, è come un lungo continuum che ci tiene con quel sottofondo rilassante, forte ma mai troppo, fino alla fine.

In The ’59 Sound si intrecciano vorticosamente la grande potenza, dal punto di vista sensoriale, e la tradizionalità delle tematiche che da sempre sono al centro del caro vecchio rock. Se aggiungiamo, poi, i testi e gli arrangiamenti dal tocco punk, cuore rock ma anima blues. Non ci resta altro che un gruppo di ragazzi che si stanno rendendo conto di essere cresciuti… E una musica che deve ancora svilupparsi e prendere una direzione. Anche se dalle file di fan che già gli si muovono intorno non mi sembra difficile intuire quale sarà.

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Emiliana Pistillo
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