Mudhoney
Vanishing Point
(Cd, Sub Pop Records)
alternative rock, garage rock
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Nuovo capitolo per i Mudhoney, storica band della prima ondata di grunge. Un suono che ha creato i presupposti per la base di un genere insieme ai Dinosaurs Jr, con i quali condividono la passione per riff iperdistorti (si ricordi l’incendiaria Touch Me I’m Sick) e il canto rabbioso, anche al limite della stonatura.
I Mudhoney sono una delle pochissime band grunge sopravvissute a 24 anni di cambiamenti musicali. Tuttavia in questo nono album le cose sono ovviamente diverse rispetto agli esordi. Il suono è meno brutale e la voce del leader Mark Arm mostra qualche segno di stanchezza, nonostante una manciata di pezzi al livello degli esordi come intensità.
Slipping Away è la opening track dell’album Vanishing Point: rullo di tamburi e parte subito il riff distorto, sorretto dal basso preciso di Dan Peters. Un buon biglietto da visita per il disco.
L’accoppiata Chardonnay–The Final Course è all’altezza degli esordi. La prima è memore della lezione garage degli Stooges; la seconda si sviluppa sulle atmosfere decadenti dei Black Sabbath. In This Rubber Tomb si muove tra synth interstellari e fragorosi wah-wah, mentre The Only Son Of The Widow From Nain è il prototipo della canzone grunge: breve e rabbiosa. Chiude l’album Douchebags On Parade, aperta da un blues psichedelico hendrixiano (con toni più rilassati) che si alterna a sfuriate garage-blues.
Peccato che oltre alle sopracitate canzoni ne figurano altre che sono dei meri riempitivi, come I Don’t Remember You, Sing This Song Of Joy, e soprattutto I Like It Small, copie sbiadite di brani dei Primal Scream: forse non è neanche un caso che il titolo dell’album è esattamente uguale a quello della band di Bobby Gillespie del 1997.
Vanishing Point corregge le asperità grunge in favore di un alternative rock troppe volte innocuo. Sono pochi i brani nei quali i Mudhoney vanno oltre il compitino. Il resto è vistosamente superfluo.
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