Probabilmente mai come ora c’è stata abbondanza di musica, facilità di diffusione e di reperimento, frammentazione in una infinità di sottogeneri in grado di soddisfare ogni tipo di palato, possibilità di ascoltare canzoni da una molteplicità di sorgenti, da fermi o in movimento, e mai come ora l’industria musicale è in crisi.
Un paradosso dei tempi moderni.
I numeri parlano chiaro. In dieci anni la vendita degli album è caduta del 55%; secondo Billboard, nel mese di luglio negli States nessun artista è arrivato a vendere 100.000 copie; nel 2008 s’è venduto un 25% in meno di Cd rispetto al 2007; nel 2008 si sono venduti 384 milioni di album, mentre nel 1998 erano 847 milioni. E se questi numeri non vi sembrano abbastanza drammatici, aggiungeteci che – sempre negli Stati Uniti – sono stati 71.000 i licenziamenti direttamente o indirettamente causati da questa crisi (fonte: Institute for Policy Innovation).
Sì, è vero, le vendite in digital download vanno ogni anno meglio, ma vendere musica canzone per canzone è un vantaggio solo per il consumatore finale o per gli intermediari come Apple (leader di mercato con la sua piattaforma basata sul software iTunes). I primi semplicemente si fanno le proprie compilation su misura, acquistando solo quello che gli piace e infischiandosene allegramente delle pretese artistiche delle band, che magari hanno previsto un tema comune per tutto l’album, quando non un vero e proprio concept. Le piattaforme di vendita di musica digitale, invece, hanno imparato a menadito la teoria della “coda lunga” e generano profitti su profitti, a prescindere dai volumi di vendita del singolo brano, ma guadagnando sul volume complessivo del venduto.
Sembrerebbe il paradiso della musica: il consumatore con il potere assoluto di scelta, le case discografiche senza fastidiose scorte di magazzino e costi di distribuzione, addirittura gli ambientalisti più contenti perché così si costruiscono meno supporti inquinanti e difficili da smaltire. E invece …
E invece i conti non tornano neanche all’industria. Vendere musica canzone per canzone, infatti, nonostante i mostruosi volumi di vendita prodotti anche dalle suonerie per cellulari, non è così profittevole come si potrebbe pensare. Nel 2008, infatti, le case discografiche per 1.000 milioni di canzoni vendute online hanno incassato poco più di 700 milioni di euro, quando nel 1998 con 847 milioni di dischi incassarono 8.000 milioni di euro.
La conclusione a cui le major del disco sono giunte è che il singolo digitale non solo ha ucciso l’album in Cd (o è stata la pirateria del P2P?), ma ha fatto anche volatilizzare i lauti guadagni a cui erano abituati.
Da più parti, quindi si sta provando a studiare un sistema che rivitalizzi il vecchio concetto di album, seppure aggiornato secondo le nuove tecnologie.
In casa Apple (costruttrice del più famoso e diffuso lettore Mp3, l’iPod, che si integra col software di riproduzione e con la piattaforma di diffusione di contenuti digitali iTunes) sta lavorando a un progetto con nome provvisorio Cocktail; l’idea è che in un colpo solo si dovrebbe vendere (in download digitale, ovvio) un pacchetto di contenuti composto da musica, videoclip, immagini, interviste, testi delle canzoni e informazioni varie. Il progetto potrebbe essere accompagnato da una nuova generazione di iPod Touch in grado di gestire questa messe di contenuti.
Sony, Emi, Universal e Warner, le major del disco, dal canto loro non stanno a guardare e stanno alacremente lavorando a un nuovo formato musicale il cui nome di sviluppo è CMX e che prevede un pacchetto di contenuti del tutto simile a quello di Cocktail, ma slegato da hardware particolari, seppure vincolato a un nuovo software non compatibile con i già tanti che affollano gli hard disk.
Difficile prevedere come reagiranno i consumatori, ma da quello che si sa fino ad ora … nessuna delle due mosse sembra l’uovo di Colombo. In ogni caso si tratta di sistemi orientati al computer, che più che mai dovrebbe (secondo loro) diventare la sorgente primaria della musica. E’ tutto da verificare inoltre come e se questi contenuti si possano trasferire su altri supporti, con che libertà e con che limiti, per non parlare dei tanti appassionati di alta fedeltà del suono, che di ascoltare musica compressa o da un computer proprio non ne vogliono sapere.
Il futuro è meravigliosamente incerto. Forse.
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