A Place to Bury Strangers
Worship
(Cd, Dead Oceans)
wave, shoegaze, noise
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In ritardo di un anno rispetto a quanto ci avevano raccontato dopo il loro ultimo concerto a Roma, tornano gli A Place to Bury Strangers con Worship.
Alla terza prova sulla lunga distanza, la band di Oliver Ackermann aggiusta il tiro, senza stravolgere il suo stile, e concentra l’attenzione più sulle sue influenze wave che su quelle noise. E quindi Jesus & Mary Chain e Joy Division, più che My Bloody Valentine. Sia ben chiaro, in questo Worship di rumore ce n’è (vivaddio!) e pure parecchio, ma gli A Place to Bury Strangers sembrano più concentrati sulla definizione di tracce melodiche, più che su gli assalti sonici che gli hanno reso la nomea di band più rumorosa di New York.
Con loro si incorre sempre nello stesso dilemma, ovvero su come valutare una band e un disco che è di stretta osservanza derivativa, più che di materiali e/o di un sound originale. Ma la band si ritaglia comunque il modo di dimostrare quel che vale al di là del contesto (storico e sonoro) e cui si riferisce. Dopo un inizio entusiasmante ma tutto sommato convenzionale, affilano le almi con Worship, la title track, Fear e – soprattutto – Dissolved, tre brani che riservano sorprese, raffinatezze e virtuosismi che pongono gli A Place to Bury Strangers una spanna sopra le tante band che stanno cavalcando questo (infinito) revival anni ’80.
Sia come sia, poco importa. Gli A Place to Bury Strangers sono in grado di catapultare l’ascoltare direttamente in inferi metropolitani, in antri bui in cui il pericolo, l’assalto al rumore bianco, è in agguato dietro ogni angolo.
E a noi piace così. E pure molto.
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