Max Navarro
Hard Times
(CD, Cherry Lips Records, 2012)
rock
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Con la vecchiaia sto accantonando temporaneamente dischi complessi e sofisticati (devo ancora scartare l’ultimo dei Mars Volta) e pieni di testi cerebrali e di chissà quale significato. O forse con la Crisi ho bisogno che la mente vaghi su linee melodiche grintose e anche divertenti (non immaginavo di ritrovarmi a canticchiare If You Really Really Love Me di quei coglionissimi dei Steel Panther, oppure Hot dei Reckless Love). E’ il rock che in questo momento ho nel sangue, è deciso.
Così ho gradito quando la Cherry Lips mi ha mandato il nuovo disco di Max Navarro, artista italo-canadese che presenta il suo terzo album, Hard Times. Navarro non le manda a dire suonando un classic rock ben ritmato che tocca temi sociali e qualche storia d’amore con uno sguardo riottoso. Dalle prime note di You Can Rely On e Out of Bounds accosto sicuramente esagerando il musicista alle musiche di John Mellencamp, Springsteen e il nostro Massimo Priviero per il suo modo di dire le cose scomode suonando buona musica.
Hard Times ha un suono piuttosto vintage con riff non torrenziali perché non è il virtuosismo che caratterizza questo lavoro, ma una coerente sequenza di nove brani con ritornelli armonici in cui il singer viene accompagnato da John Paul Bellucci e Steve Palmano alla chitarra con molta fiducia e stima, ottenendo peculiari feedback, un concentrato di rock americano che riporta alle tipiche atmosfere dei cantautori elettrici del passato, fatte di linee melodiche nostalgiche e buoni refrain, con canzoni come Beyond the Silence con quel retrogusto sudista cadenzato e poderoso.
Poison Girl ha quel grezzo martellare sulle corde che trascina, Nothing’s Guaranteed l’intro rock blues attira ritmi carichi che si dilungano poco a poco. In mezzora ci troviamo di fronte ad atmosfere istintive che raccontano con semplicità le storie e le contraddizioni di oggi casuate da una pressione sociale nell’illusorio benessere che pervade la quotidianità.
Come ogni disco rock che si rispetti sono presenti malinconiche ballate come The Wrong Side e Winter In Chicago, forse la meno brillante, al contrario di Cryin’, buona ballata elettrica che scocca una bella freccia dall’arco del chitarrista di Vancouver. Un progetto senza artifici, componimenti che restituiscono spontaneo realismo rock, un disco di zone buie e luci indistinte.
In conclusione abbiamo una cartolina di musica fatta col cuore, un album che si assimila in fretta fornendo buoni momenti di distensione, anche se necessita di maggiore estro e, se non si trattasse di un progetto solista, una voce più sostenuta.
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