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Marigold: Tajga

Gli abruzzesi Marigold, capitanati dal cantante/chitarrista Marco Campitelli, arrivano al loro terzo disco TAJGA, lavoro dalle atmosfere cupe che rievoca malinconia e paesaggi nordici. Dietro il banco mixer Amaury Cambuzat degli Ulan Bator

Marigold

Tajga

(Cd, Acid Cobra/Venus)

alternative rock

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Cover_MARIGOLD_frontI Marigold sono una rock band abruzzese attiva sin dal 1998 e questo nuovo Tajga è prodotto da Amaury Cambuzat, membro fondatore del combo francese Ulan Bator.

Partiamo dal titolo: Tajga, ovvero Taiga, quella zona climatica sub artica interamente ricoperta da foreste e paludi, dovrebbe suggerire bene le atmosfere e quindi lo spirito con il quale accostarsi a questo lavoro; Tajga è un disco cupo, invernale, sin dalla prima traccia Example de Violence le intenzioni sono evidenti: cantato in lingua straniera (in inglese, ma francese su questo brano), atmosfere dilatate, chitarre e sintetizzatori che si dipanano in tappeti sonori sui quali installare voci filtrate e cori ariosi.

Ad ascoltarli bene i Marigold paiono quasi una nostra versione dei Sigur Rós, un po’ più distorti e leggermente meno malinconici. Su Swallow il piglio è quasi industrial alla NIN, mentre sulla title-track v’è la partecipazione di Daniele Carretti degli OfflagaDiscoPax, che vi suona il piano.

Le nove tracce del disco, di cui una breve strumentale, potrebbero far pensare (almeno per i tempi che corrono), ad un lavoro quantitativamente esile, ma si correrebbe in errore. Tajga è uno di quei dischi dove l’atmosfera generale prevarica sui singoli brani, dando un’idea di compattezza e di continuità.

Una sorta di viaggio mentale all’interno di un immaginario fatto di foreste nebbiose, fiumi difficili da guadare e tramonti sulle gelide acque dei mari del nord.

Consigliato agli animi particolarmente malinconici e tutti quelli con una sana propensione alla meditazione in solitudine.

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Dario Baragone
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