Saxon
Into The Labyrinth
(Cd, Steamhammer, 2009)
metal
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I Saxon rappresentano una delle colonne portanti del sound che ha definito l’heavy metal anni ’80. Fondando la cosiddetta New Wave of British Heavy Metal, insieme a Judas Priest e Iron Maiden, questa band portò una ventata di freschezza nel panorama musicale di fine anni ’70, dominato da un alto dallo stile ultratecnico e cerebrale di gruppi come i Genesis, e dall’altro dall’irriverenza sociopatica del punk-rock. Lo stile dei Saxon si può collocare a metà strada tra quello provocativo e aggressivo dei Judas Priest e quello più melodico e articolato degli Iron Maiden.
Nel loro nuovo disco, Into The Labyrinth, i Saxon si confermano in gran forma, come già avevano mostrato di essere con il precedente Inner Sanctum, del 2007. Si tratta, beninteso, di lavori che non innovano alcunché, al contrario: riprendono pedissequamente il ben rodato sound metallico di un tempo, svecchiandolo quanto basta per colpire le nuove generazioni di metallari. L’effetto è quello di regalare una seconda giovinezza a musicisti ormai di mezza età, i quali non hanno alcuna intenzione di mollare la presa, e che sono invece convinti di poter ancora rockeggiare come ai vecchi tempi. A dimostrazione del loro ottimo stato di salute, i Saxon hanno deciso di lanciare un anthem dal chiaro messaggio: Live To Rock è il secondo brano del disco e ne rappresenta la vera anima, sia musicalmente, che contenutisticamente.
Into The Labyrinth è stato registrato al Twilight Hall a Krefeld, in Germania, sotto la supervisione di Charlie Bauerfeind. Ed è proprio dal sound teutonico che provengono le maggiori contaminazioni per un album altrimenti di puro british heavy metal. Il gusto marcatamente pomposo e sinfonico di brani come Battalions Of Steel ricorda più la produzione metal continentale, che quello semplice e diretto più tipico dell’hard rock made in Gran Bretagna. Proprio questo, a mio avviso, è il maggior limite di Into The Labyrinth, che tende a prediligere canzoni pesanti e macchinose, piuttosto che affidarsi a brani di impatto, tutto sommato più in linea con lo stile dei Saxon.
Nel suo sforzo di complessità, infatti, il disco non fa altro che scimmiottare cliché consunti, i quali dovrebbero conferirgli una maggior forza di impatto, ma che finiscono piuttosto per ridurne le potenzialità. Non è certo un caso che i momenti migliori di Into The Labyrinth siano quelli in cui i Saxon si abbandonano a riff graffianti e ritmi incalzanti. É facile notare che la band si trova, in quel caso, su un terreno a lei più congeniale, dove riesce a sfruttare al massimo la sua trentennale esperienza.
In conclusione, ci troviamo di fronte ad un album che non va oltre la sufficienza, proprio a causa della sua mancanza di coerenza, ma che ciononostante merita il massimo rispetto sia dai vecchi appassionati sia dalle nuove leve.
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