Amanda Lear
I Don’t Like Disco
(CD, Little Boom Records)
pop, dance
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Lontana dal Belpaese, la musa ispiratrice di Salvador Dalì e David Bowie rimane un’icona indiscussa del dancefloor anni ’70. A 72 anni, Amanda Lear pubblica per il mercato discografico francese I Don’t Like Disco, un album composto da dieci pezzi in circa 32 (interminabili) minuti, ancora una volta prodotto da Alan Mendiburu, suo fedelissimo da una decina di anni. Un titolo curioso, che la stessa Amanda Lear spiega nel booklet: trentacinque anni fa, infatti, cominciò a fare disco music quasi per caso, sotto le pressione della sua casa discografica tedesca; il suo ultimo lavoro, però, suona “a little bit loud and rock ‘n’ roll”, non troppo disco. Uno dei pochissimi punti di forza di I Don’t Like Disco riguarda sicuramente gli arrangiamenti e il mixing di livello professionale, che fanno di tutto per coprire la sua voce, davvero inascoltabile.
I Don’t Like Disco è la traccia di apertura dell’omonimo album, una programmatica dichiarazione di guerra ai più nobili uditi, che inevitabilmente soccomberanno all’ascolto. Non lascia spazio a fraintendimenti What A Surprise, impossibile non skipparlo; Windsor’s Dance è un amarcord della sua infanzia in Inghilterra, Money Money stufa dopo ben pochi secondi, You’re Mad sembra appartenere al più brutto filone dance rumeno. Super Hero è il solito brano, uguale a tutti gli altri fin qui ascoltati, Icon è la storia di Amanda, forse interessante soltanto per il testo. Poi I Need Silence e La Bête Et La Belle, sempre le stesse melodie riciclate senza vergogna. Finalmente arriva la fine del disco con Chinese Walk, il cui intro è stato autocitato (per non dire autoplagiato) da Windsor’s Dance.
Anche Madonna ha deciso di tornare sulle scene musicali quest’anno, ma l’intramontabile fascino di Miss Ciccone non è minimamente paragonabile al disastroso tentativo da parte di Amanda Lear di mostrare che si può essere Lady Gaga anche a 72 anni suonati. Pessima, da cestinare: I Don’t Like Disco è trash allo stato puro.
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