Psychedelic Horsehit
Laced
(CD, Fat Cat)
shitgaze
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Una pigra monotonia, quasi una svogliatezza nel creare melodie così come solitamente le intendiamo: gli Psychedelic Horseshit, formati da Matt Horseshit (voce, chitarra, armonica e tastiere) e Ryan Jewell (batteria, percussioni, tastiere) preferiscono infatti guidare l’ascoltatore, traccia dopo traccia, attraverso il ritmo creato dagli infiniti effetti impiegati. Potremmo definirla “psichedelia digitale”: il loro hypnotic noise prova a coniugare sonorità pop apparentemente opposte a questo tipo di sintetizzatori e beat campionizzati a bassa fedeltà.
Rispetto alla rumorosa tradizione shitgaze, Laced non risulta così noise, ma leggermente più limpido, forse proprio grazie alla considerevole dose di elettronica presente, senza tuttavia rinunciare a graffianti chitarre e al suono di batterie in lontananza. Una voce tagliente e al tempo stesso inafferrabile, simbolo della spontaneità Do It Yourself, come se ci trovassimo nel bel mezzo di un’improvvisazione in studio: un disco dove sembrano incontrarsi onirismo e premonizioni, sembrano mischiarsi l’intima paura del futuro e la strafottente ironia sul presente, con i battiti delle percussioni che scandiscono tutta la durata del disco come un cuore impazzito.
Laced comincia con l’onirico uno-due Puff e Time Of Day, come se stessimo per entrare, consapevoli vittime di un lavaggio del cervello, in un viaggio della mente sotto acido; French Countryside è un concentrato di idee in continuo divenire; le atmosfere tribali di I Hate the Beach e Tropical Vision ironizzano sulla scena chillwave, ossessionata da questi temi estivi; Laced e Another Side sono le tracce più apprezzabili, con l’interessante impiego, nella seconda, di un’emozionante armonica; Revolution Wavers ci catapulta in uno spazio intergalattico e fantascientifico; l’ultimo pezzo è Making Out, esercizio canoro di Horseshit che tiene testa a velocissimi bonghi: la sua voce, ipnotica tanto quanto il ritmo della base, perde il consueto tono scanzonato e acido, in favore di un cantato più toccante, ma sempre nasale e svogliato.
Bisogna ammettere che Laced contiene al suo interno rottami di latta divenuti curiose sculture di sperimentazione e virtuosismo elettronico-tribale che però spesso risultano incomprensibili.
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