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Elbow: Build A Rocket Boys!

Gli Elbow escono allo scoperto con un nuovo album. Sembra abbiano fatto un bel passo indietro rispetto ai precedenti lavori, sfornando un disco tutt'altro che indimenticabile

Elbow

Build A Rocket Boys!

(Cd, Universal)

art-pop

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Elbow- Build A Rocket BoysOh Manchester, so much to answer for…” cantava Morrissey in Suffer Little Children, brano di chiusura dell’omonimo disco degli Smiths targato 1984. E sono davvero tante le risposte che Manchester deve dare; una di queste è sicuramente il perchè sia nata proprio lì una così fiorente cultura musicale verso la fine del Novecento. Non può essere un caso se Buzzcocks, Magazine, Joy Division, Fall, New Order, Chameleons, Smiths, Happy Mondays, Stone Roses, Charlatans UK, Chemical Brothers vengano tutti da questa città (e dintorni). E Manchester la risposta ce l’ha già data, e da molto tempo oserei dire.

Cappello storico

Manchester, città densa di fabbriche sin dall’Ottocento, verso la fine degli anni Settanta si affaccia all’era post-industriale spaventata e senza punti di riferimento. La popolazione è sempre più povera, quindi vengono demolite le vecchie abitazioni vittoriane per far spazio a palazzoni, case popolari più adatte alle svuotate tasche dei cittadini. Il crollo di una cultura, quella industriale, porta come naturale conseguenza il sorgerne di un’altra, quella post-industriale, che si sviluppa di pari passo con il fenomeno punk. Un proliferare di nuove idee, un nuovo modo di percepire l’esistenza si impossessa dei giovani inglesi che da allora saranno sempre all’avanguardia nel campo dell’arte, in particolar modo nel settore musicale. Nasce la Factory Records, e da questa prenderanno le mosse tutte le altre scene indipendenti che si svilupperanno in futuro, come il movimento Madchester e la sua folle propagazione elettronica che trova il suo apice nella rave generation. In sintesi potremmo dire: Joy Division, New Order, Happy Mondays, Chemical Brothers. Un effetto domino sconvolgente, un continuo avvicendarsi tra culture e controculture.

Tornando al presente

A cosa è servito questo salto indietro nel tempo? Direte voi che il sottoscritto avesse voglia di dimostrare e, anzi, di ostentare il proprio bagaglio culturale. In effetti quello che in origine vi sarete chiesti aprendo il link sarà stato “Com’è questo disco degli Elbow? Lo compro? Lo scarico?”. In effetti avete ragione, è leggittimo che vogliate saperne di più sul disco, ed ora vi dirò esplicitamente come stanno le cose.

Partendo dal presupposto che “un po’ di cultura non fa mai male”, e che contestualizzare un album nel luogo e nel tempo sia fondamentale, va anche detto che questo cappello storico è servito al recensore per sentirsi meno in colpa nei confronti dei lettori, visto che su questo Build A Rocket Boys! c’è assai poco da dire.

Ci troviamo infatti d’innanzi ad un disco di un’ineffabilità spaventosa. Sembra di ascoltare il vento, il fruscio delle foglie, che per carità saranno la pace dei sensi ma non sono musica, non sono pop, non sono gli Elbow. Nonostante la più che lampante qualità degli arrangiamenti e delle registrazioni, del particolareggiato lavoro di produzione e post-produzione, il disco in se ci dice davvero poco. State pur certi che dopo il primo ascolto non vi rimarrà nulla. E che durante il secondo ascolto crederete di non aver mai sentito questo disco. E che dopo il terzo ascolto la storia non cambierà, così come con il quarto, il quinto, il sesto, il settimo… Io personalmente ho superato i dieci ascolti, e questo non è bastato ad eliminare quella patina di anonimato che riveste tutto il lavoro.

Eppure in passato gli Elbow hanno dimostrato di saperci fare eccome, ricevendo elogi da artisti come R.E.M., U2 e Blur, non proprio gli ultimi arrivati. Nonostante ciò i tempi di The Seldom Seen Kid sembrano lontanissimi (ma son passati nemmeno tre anni), e quello che ci resta sono le aspettative che accompagnavano l’uscita di questo disco, le quali purtroppo hanno ora acquistato il sapore amaro delle delusione.

Non me ne vogliano i fan più sfegatati della band o i più accaniti detrattori dei recensori, è più che accettabile che chiunque possa dissentire da quanto scritto fino ad ora. E forse sarò stato un po’ duro con la band, forse ho parlato di questo disco insolentemente ed in maniera poco professionale, ma è d’uopo precisare che ci si trova dinnanzi ad un disco totalmente anonimo, non brutto, e alla fine dei conti credo che dare alla luce un buon disco non significhi affatto dare alla luce un bel disco.

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Stefano Ribeca
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