The Pain of Being Pure at Heart
Belong
(Cd, Slumberland Records)
dream pop
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Negli ultimi anni stiamo assistendo a quella che può essere definita come la “maledizione dell’hype”. L’hype è un termine inglese che può essere tradotto come eccitazione, ma nell’ambito dello show business può anche indicare quel misto di aspettativa e incontenibile attesa solitamente generata dalle label o dai promotori, in grado di elevare a “disco dell’anno” un album non ancor uscito nei negozi. Questo fenomeno ha uno speciale riscontro nel panorama indie, nel quale questi ultimi prolificano, perdonatemi il paragone, come conigli. Il dramma dell’hype è che spesso rischia di idolatrare a tal punto qualcosa da renderlo una completa delusione.
Fatta questa premessa, non mi sento di dire che Belong, il secondo album della band The Pain of Being Pure at Heart, sia un album inascoltabile. Devo semplicemente riconoscere che il quartetto dream pop dalle influenze shoegaze non aggiunge nulla a quanto già ci aveva proposto nel debutto del 2009.
Ascoltando le dieci tracce di Belong sembra quasi ci sia stata propinata quella che dalle mie parti chiamiamo una “minestra riscaldata”. Il suono si è irrobustito, è sicuramente più maturo e stratificato ma per il resto si tratta delle solite melodie pop adolescenziali che non aggiungono nulla di nuovo, ricreando una serie di tracce ripetitive e spesso derivate.
É d’obbligo riconoscere che nell’insieme l’album è più che godibile, abbastanza meccanico ma onirico e delicato, che alterna college radio ad intromissioni shoegaze. La title-track Belong è un ottimo indizio di una possibile maturazione, la possibilità di raggiungere un livello successivo e distaccarsi dalle influenze musicale, di cui rischiano di abusare. Un album che fila liscio e lineare, e che proprio per questo non aggiunge nulla di nuovo alla loro musica.
Se non fosse stato decantato come uno dei dischi più attesi dell’anno probabilmente avrei apprezzato maggiormente questa seconda prova dei Pain of Being Pure at Heart, intanto non mi resta che sperare che il quartetto americano faccia la svolta necessaria per lasciarsi alle spalle l’eredità del passato.
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