Methel & Lord
Steps of a long run
(Cd, Point of View Records/CNI Distribuzione)
elettronica, jazz
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Quando hai alle spalle un background come quello di questa band, non puoi permetterti di fare un passo falso. Quando vieni osannato dalla critica e premiato come Miglior album d’esordio e Migliore band italiana, da te ci si aspetta un capolavoro dietro l’altro. Perché se il sequel non è all’altezza dell’opera prima, può darsi che il terzo capitolo te lo scordi. O perlomeno, perdi di credibilità.
Fortunatamente non è questo il caso di Methel & Lord, duo romano nato dall’incontro tra la chitarra di Sergio Erasmo Ferrari (Methel) e le sonorità elettroniche di Gianmarco Carlucci (Lord), che insieme ad altri musicisti dà vita al processo di fusione musicale caratteristico di questo gruppo.
Dopo l’esordio con Pai Nai, che risale ormai al 2003, Methel & Lord si sono dedicati ad esperimenti live e sonorizzazione teatrali, per tornare sulle scene con un album che ancora una volta dice molto di loro e della loro concezione della musica. Steps of a long run è una continua sorpresa: otto tracce talmente diverse da non permettere di inglobare questa band in un genere musicale ben preciso. E personalmente, chissenefrega, tutto attaccato, che rende meglio l’idea. Perché siamo stufi delle etichette, e di gruppi che fanno canzoni (o peggio album) tutti uguali.
Ecco perchè è difficile anche solo cercare di trasmettere un’idea generale di questo lavoro: sarebbe quindi più corretto analizzare canzone per canzone. Ma non si può, perché altrimenti toglierei ai possibili fruitori tutto il piacere della scoperta. Così vi dirò che Steps of a long run è un mix di musica passata e presente, dove la semplicità melodica della chitarra incontra l’elettronica e il virtuosismo di suoni artefatti, che si sconvolgono a vicenda con cambi repentini di ritmo, apparentemente improbabili e che fungono da base per testi a volte recitati in tono asettico, a volte cantati con espressività.
Sax, basso, tastiere, chitarra e batteria si scontrano e si fondono, si compenetrano e si inseguono su atmosfere jazz da lounge bar (Escare from significance) o su ritmi circensi (Gnu e gnà) degni dei migliori pagliacci e contorsionisti; giocano con l’asetticità dei termini medici che tanto spaventano in questo nuovo millennio (Hippocondriac – un pezzo che andrebbe a braccetto con Depre dei Subsonica, visto l’argomento) e con gli stereotipi con cui gli italiani vengono etichettati dagli stranieri (Pizza, mafia e mandolino), per chiudere, tra sonorità orientaleggianti ed echi rock, con un pezzo molto d’atmosfera con tanto di cori nel ritornello (Washed untrue).
Alla luce di tutto ciò, possiamo dire che Methel & Lord hanno fatto centro anche con questo album, ricco e variegato tanto da poter essere apprezzato da amanti di generi musicali diversi, senza essere dissonante o sembrare la casuale accozzaglia di suoni di una band che sta ancora cercando la propria strada.
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