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Bardo Pond: recensione cd omonimo

La band made in U.S.A. ci ripropone il suo rock psichedelico costellato di sonorità acide e molto vicine al noise; uno strabiliante trip tra momenti di pura stasi ed esplosioni "galattiche"

Bardo Pond

s/t

(Cd, Fire Records)

post-rock

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bardo-pondo-cd-2011Quasi vent’anni di carriera alle spalle passati nell’underground, senza mai conoscere le luci della ribalta, i grandi consensi di critica e pubblico, ma rosicchiandosi piccole sfere di apprezzamento, certamente sincere e reali. Ma qualcosa doveva cambiare, e così dopo vent’anni e una ventina o più di dischi prodotti, la band dei fratelli Gibbons e di Isobelle Sollenberger (della quale chi vi parla se ne è innamorato per la voce stonata/trascinata e per l’indubbio fascino che emana) da alla luce Bardo Pond, un disco omonimo. Sembra strano, perchè solitamente sono i debuts ad essere omonimi; ma tant’è, noi ne prendiamo atto. Sembra però che questo gioco dell’omonimia abbia dato alla band nuova linfa vitale, forze fresche per guadagnarsi un più ampio giro di consensi. E il fatto che a dicembre abbiano partecipato all’ A.T.P. festival curato niente popò di meno che dai Godspeed You! Black Emperor la dice lunga su quanto questa band possa valere e su quanto sia stata poco considerata in questi anni.

Ma soffermiamoci sul disco in se, senza girarci troppo attorno. I Bardo Pond sono una delle più importanti e sottovalutate realtà del mondo neo-psych, e con quest’ultimo disco non hanno certo abbandonato la strada maestra, ma ci sembra che dietro ogni nota ci sia una consapevolezza ed una premura diversa. Il disco alterna momenti di cupo e statico oblio, uno scurissimo oceano perfettamente immobile, in cui la voce di Isobelle sembra venire direttamente dalle profondità più anguste e spaventose del mare, a momenti di totale caos dilatati all’inverosimile, in cui l’unico accenno di “realtà” sembra essere sempre la voce di Isobelle che si dimena e che ci colpisce tra le impressionanti emanazioni di energia di un quasar sul punto di collassare.

Un disco dalle immense capacità evocative, un vero e proprio trip (che di questi tempi pare non essere più prerogativa della musica strumentale ma di quella sintetica) dalle mille sfaccettature, dai mille colori e dalle mille sensazioni. Un gran disco insomma, ineccepibile. Ma forse i settanta minuti di trip sono un po’ troppi, e in alcuni momenti di stallo si rischia di uscir fuori dall’ascolto (e rientrare non è mai facile). Ma probabilmente il recensore soffre di distrazione cronica, così questo punticino negativo che aveva messo per evitare una spiacevole sviolinata può effettivamente non valere per tutti.

Caldamente consigliato; buon ascolto!

P.S.: Ecco un punto negativo che può essere comune: l’orrenda cover del disco. Quei due occhi in stile “fumetto che si legge al contrario” sospesi su di uno sfondo argentato fanno quasi gridare al ribrezzo. But you can’t judge a book by its cover.

 

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Stefano Ribeca
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