Fra i 100 nomi del 2010 secondo il quotidiano la Repubblica c’è l’appassionato rocker Massimo Priviero. Abbiamo chiesto proprio a lui che effetto fa. Ne è scaturita una chiacchierata a tutto tondo, sul suo ultimo Rolling Live, ma soprattutto sulla Musica.
RockShock. Benvenuto Massimo. Se non fossi diventato un cantautore, che lavoro avresti fatto?
Massimo Priviero: Mah! probabilmente avrei fatto lo scrittore che magari contemporaneamente fa anche l’insegnante ma che dirti, ho deciso molto presto che avrei voluto fare la mia musica e che di quello avrei vissuto. Chissà! Fu una decisione molto giovanile, in fondo poi non ho cercato alternative.
RockShock. Quando hai cominciato ad appassionarti al rock? E alla poesia?
M.P.: In periodi contemporanei e cioè durante la prima adolescenza..a 13/14 anni. Sono amori che si muovono di pari passo e che non sono mai andati slegati. Anzi, per come intendo la musica che chiamiamo “rock” questa è davvero grande quando riesce proprio a sposarsi con una liricità importante e ad essere in qualche momento, anch’essa, della vera poesia.
RockShock. Chi è il tuo “maestro”?
M.P.: Più giusto dire il primo grande punto di riferimento. Comunque, certamente Dylan…
RockShock. A inizio anno il tuo nome è finito fra i 100 NOMI DEL 2010 su La Repubblica con questa motivazione: Rolling Live conferma la buona vena rock di questo veneto trapiantato a Milano, molto attento ai testi e alla sua libertà”. Deve essere stata una bella soddisfazione… Con “Sulla strada” (2009) e “Rolling Live” (2010) ti confermi uno dei più grandi rocker italiani, titolo non abusato o strombazzato sulle cover dei cd ma guadagnato sul campo. Vuoi parlarci di questi due dischi?
M.P.: Ti dico…sono in realtà due progetti strettamente legati per il fatto di “celebrare entrambi” più o meno vent’anni di carriera. Uno è la mia “anima” di studio e l’altro è il live ufficiale figlio di un’altrettanto speciale concerto in quello che è stato il tempio del rock d’autore in Italia. In questi due album sono fissati gli aspetti più veri e intensi della mia vita, della mia musica e del mio modo di comunicarla. Energia, poesia, emotività, “sudore e lacrime”, “sorrisi e carezze”. Questo è quel che sono, spesso anche nella mia vita extramusicale…c’è spesso molta vicinanzara le due cose. Quello che scrivo, intendo dire, è molto spesso anche quello che sono. Riguardo a quel che han detto di bene posso dire che, in specifico a quello a cui ti riferisci, mi ha fatto molto piacere per la grande stima che ho di Mura. Tuttavia, in generale, non mi sono mai granchè curato di quel che han detto o scritto di me, sia nel bene che nel male. Non considero questo aspetto importante per la mia vita. E’ molto diverso, invece, se per esempio vieni a un mio concerto, lo ascolti con attenzione e magari mi dici quel che ne pensi…in quel caso l’ opinione, il complimento o la critica mi interessano molto di più. Spero sia chiaro quel che intendo dire…
RockShock. Qual è il più grande piacere del tuo lavoro?
M.P.: Finire un concerto e guardare negli occhi la gente che è venuta a sentirti. Capire se sei riuscito a regalargli forza ed emozione intelligente. Capire se per loro quel che fai rappresenta qualcosa, per quanto grande o piccolo questo qualcosa possa essere. E sapere che tu questo qualcosa l’hai dato senza aver mai venduto te stesso. Se riesci a dare una vera carezza, inevitabilmente questa carezza tornerà verso di te…e in qualche momento questo ti renderà felice e ti porterà a pensare che la tua vita, come quella di ognuno, è un valore unico e infinito.
RockShock. A un certo punto della tua carriera sembravi essere avviato al grande successo, grazie anche alla collaborazione con grandi produttori e case discografiche, ma poi questo non è avvenuto. E’ stata una tua scelta?
M.P.: Fondamentalmente una scelta. Spesso difficile da spiegare e da far capire ad un mondo che ritiene un certo tipo di successo come un approdo o un obbiettivo. Viceversa non considero un certo tipo di successo come un valore, dunque smisi all’epoca di inseguirlo. Ero e sono fondamentalmente un uomo libero, che ha bisogno di essere sè stesso e che vive difendendo le cose in cui crede. Non è fondamentale per me che queste incrocino i gusti di mille o centomila
RockShock. Steven Van Zandt, chitarrista di Bruce Springsteen, è stato tuo produttore. Quando e come nasce queste collaborazione? E’ stata un esprienza formativa? Siete ancora in contatto?
M.P.: Avevamo un amico comune all’epoca, dunque più o meno vent’anni fa, che si chiama Guido Harari ed era probabilmente il fotografo della musica più importante in Italia e non solo. Lui ci mise in contatto, Steve fu entusiasta del mio modo di scrivere e di far musica e mi propose la sua produzione. Fu per me un piacere e un onore. Certamente mi diede anche la sua esperienza che mi fu molto utile. Fu dunque un incontro assai felice sia artistico che umano. Sì, ogni tanto ci sentiamo e capita anche che ci incrociamo. Abbiamo entrambi grande stima l’uno dell’altro e magari capiterà che in futuro si ritorni a far qualcosa insieme.
RockShock. Tutta la tua discografia può essere divisa principalmente in tre filoni diversi: quello dell’amore vissuto (San Valentino, Fragole a Milano), dell’umana resistenza (Non Mollare, Nessuna resa mai, dolce resistenza) e infine quello della memoria (La strada del davai, Nikolajewka ). Ti trovi d’accordo con questa suddivisone? Quali altri temi senti di aver affrontato attraverso le tue canzoni?
M.P.: E’ una suddivisione corretta. Ci aggiungerei che, in una lettura attenta, tutto quel che scrivo è contraddistinto da quella che potresti chiamare “solitudine forte”. Considero questo modo di essere e anche questa capacità di stare con sè stesso una vera chiave di distinzione tra le persone. Tante storie che racconto sono proprio di “solitudini resistenti” che rispecchiano come immaginerai anche il mio modo di stare al mondo e che si fondono con un’idea di spiritualità diffusa che negli ultimi anni troverai sempre più presente in quello che scrivo. E questa ricerca di “santa solitudine” è se vuoi anche un consiglio e un augurio che faccio a chi mi ascolta e mi segue, per trasformarla in ricchezza e in valore di esistenza.
RockShock. Com’è cambiato il tuo modo di fare musica dopo 20 di carriera?
M.P.: E’ cambiato soprattutto in termini tecnici, come è cambiata la comunicazione. In termini di composizione, di ricerca, di necessità e di storie che voglio raccontare ha mantenuto invece intatti molti termini e molti “modi” . Poi, come è normale che sia, il tempo aggiunge esperienza, consapevolezza magari però facendo venir meno una certa parte di “santa ingenuità” esistenziale.
RockShock. Domanda da un milione di dollari: 3 dischi, 3 libri, 3 film che porteresti anche sulla luna.
M.P.: Risposta impossibile…più naturale dirti 3 nomi: W.A.Mozart, Bob Dylan, Bruce Springsteen. Degli ultimi due potrei dirti “The Freewheelin'” e “Born to run”, del primo l’opera omnia. Tre libri che ho amato molto, in epoche diverse, sono J.Kerouac “I vagabondi del Dharma”, T.S.Eliot “La terra desolata” , Mario Rigoni Stern “Il sergente nella neve”. Allo stesso modo tre film: “La grande fuga”, “Il cielo sopra Berlino”, in tempio recenti ti direi “Into the wild”.
RockShock. Altra domanda da un milione di dollari: 3 dischi, 3 libri, 3 film che porteresti mai sulla luna.
M.P.: Mah…tutto quel che viene nei cosiddetti talent show mi è massimamente insopportabile…poi, che ne so’, una compilation di qualche radio commerciale potrebbe portarmi al suicidio per esempio, come una raccolta di qualche festival televisivo. In generale è una domanda che non mi farò mai prima di partire per la luna.
RockShock. Fra i nuovi volti del rock italiano, ce n’è qualcuno che ha colpito postiviamente la tua attenzione? Perché?
M.P.: Credimi, non ho una conoscenza così approfondita dei “nuovi volti” per poter dare alcun giudizio pertinente. In generale, chiunque cerca commistione tra ricerca musicale e poesia ha la mia stima come al contrario detesto i banalizzatori di musica e parole. Ma, ti ripeto, non saprei farti dei nomi precisi.
RockShock. Massimo puoi svelare ai nostri lettori qualche indiscrezione su un tuo progetto di futura realizzazione?
M.P.: Ci sono molte cose che vanno prendendo forma proprio in questi tempi, vari progetti che per esempio fondono musica e teatro civile. Soprattutto, però, mi rimetterò presto a scrivere un prossimo album di inediti che credo sarà molto “acustico”..vivo un periodo dove ho grande necessità di ritorno alle origini del mio viaggio. Ho un grande bisogno di ritrovare il menestrello che tanti anni fa ha iniziato suonando e vivendo “sulla strada”. Era la mia vita e poi glielo devo, come sai.
RockShock. Qualche domanda a raffica, per concludere. L’ultimo sorriso che hai fatto.
M.P.: Ieri sera con un amico che non vedevo da tempo e che mi raccontava alcuni aneddoti divertenti del suo lavoro. E questo seguiva il sorriso più importante che avevamo entrambi nel momento in cui siamo rivisti.
RockShock. L’ultima parolaccia che hai detto.
M.P.: Boh, mi capita per fortuna molto raramente…probabilmente giorni fa, in macchina nel traffico milanese.
RockShock. L’ultima volta che ti sei arrabbiato.
M.P.: Poco tempo fa dopo aver saputo che un mio ex collaboratore diceva alcune falsità in giro. Questo lo squalificava davvero, ma quel che mi faceva “arrabbiare” era la sua mancanza di coraggio nel dirmi certe cose a voce, guardandomi negli occhi. Se c’è una categoria di persone insopportabili sono davvero i vigliacchi e gli opportunisti.
RockShock. Il giorno che ami di più.
M.P.: In generale amo l’autunno. Scegli tu il giorno che preferisci in quel periodo dell’anno.
RockShock. L’ultima volta che hai pensato “Fantastico!!!”
M.P.: L’altra sera ascoltando un concerto di un coro di alpini.
RockShock. L’ultima volta che hai pensato “Non lo farò mai più”.
M.P.: Mi capita a volte quando accendo la televisione e spreco del mio tempo a guardarla.
RockShock. Salutaci estrapolando una citazione dalle tue canzoni.
M.P.: “Splenda il sole per l’innocente in cerca di verità…splenda il sole ai piedi del mondo per chi voce più non ha..splenda il sole per chi porta pace ovunque la porterà…splenda il sole. Splenda il sole”.
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