K.I.T.
Invocation
(CD, Upset the Rhythm Records)
garage, Alternative
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Non si sentiva un tono così rivoluzionario dagli anni ’80. Sembrerebbe un paradosso, decifrare un disco del duemila con il passato, ma forse sta proprio in questo la novità, cioè riuscire a far rivivere il lontano in chiave moderna, conciliando generi, ritmi e voce, con una palpabile e tangibile voglia di ritornare alle radici.
E’ tutto un film che va al contrario, immaginare il nero nella sua fattispecie, quel suono sotterraneo, quasi inespressivo che urla una profetica energia.
Melodie sporche che creano il contrasto, parole stridule, chitarre graffianti, assordanti, ma questo è l’oblio del silenzio, emozioni fatte da scalfiture.
Il cd dei K.I.T., Invocation, è davvero una nuova idea, è aria pulita, è una cascata di acqua gelida su quelle che sono oggi le componenti che si definiscono note.
I brani racchiusi in questo organico sono undici tutti ritmicamente diseguali, non sai mai quello che ti aspetta, è un’attesa che deve saziare l’ascoltatore fino a farlo scoppiare.
La prima traccia è una sottile combinazione tra voce e chitarra che legano all’unisono, sono stesse entità; la traccia due è una filastrocca stonata, in collisione con le onde musicali, la voce non detta le regole, ma è il timbro ritmico a crearne i contorni; la traccia cinque divide il disco in due sequenze, la melodia diventa sottile e si raccoglie un incontro con le varie parti del ritmo; la traccia otto impone un violoncello mistico, riflessivo tanto da riprendere concetti metafisici e illimiti; nella traccia dieci un dolce carion, un ticchettio introduce il tempo che scorre lento, con picchi di vivacità, tanto da costituire l’imprevedibilità dell’ essere.
Se la musica è una forma di comunicazione, allora Invocation dei K.I.T. è un linguaggio distorto, fatto per le menti nuove che cercano nel brivido della musica il significato per non essere distinti.
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