Stan Ridgway
Neon Mirage
(Cd, A440 Records)
soft rock, folk rock
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Stan Ridgway, l’ormai maturo ex singer della band new wave Wall of Voodoo, torna con un nuovo album in studio, sempre più lontano dal passato stile, dalla propria gioventù alternativa molto “ottantiana”, e si consolida sempre di più come un cantautore vecchio stile. Neon Mirage, questo il titolo del nuovo album, un po’ nostalgico, un po’ retrò. Raggiunta ormai la maturità sembra che Ridgway abbia ormai appreso appieno la lezione del vecchio Zimmermann.
Solido, ben costruito e riempito, Neon Mirage si presenta al primo ascolto come un album di un’altra epoca, un tempo che sembra sempre più lontano, coperto dalle luci dei neon cittadini (e non), come un miraggio. Dodici tracce, un leggero alternarsi di stili e musicalità, pur senza discostarsi mai troppo dal centrale filone tra rock e folk, ed un’atmosfera generale mai troppo pesante, a volte allegra e solare, altre volte pensierosa, per invitare a riflettere.
Peccano di vecchiezza, o quantomeno risultano eccessivamente discostate dalle sonorità meno tradizionali cui si sta andando incontro, le tracce tre e sei (Desert of Dreams, Like a Wandering Star), che per quanto mi riguarda potrebbero adattarsi benissimo alle atmosfere di alcune balere, anche nostrane. Non che il resto delle composizioni suonino innovative nel suono, né nella musicalità generale; tuttavia, in questi casi l’esagerazione, come spesso, va ad intaccare la qualità. Che allargando la prospettiva all’intero album, è decisamente medio-alta,
L’incipit è già promettente, con il delicato brano folk alla Dylan Big Green Tree, in cui il suono dell’armonica si fonde a meraviglia con l’arpeggio acustico, e con la voce adulta dell’autore. Ancora più morbida, e se vogliamo ancora più intensa, la quarta traccia Half Way There, probabilmente la migliore canzone della prima parte dell’album. Proseguendo tra brani mediamente orecchiabili e piacevoli, e la cover del brano di Bob Dylan (e di chi altro sennò?) Lenny Bruce, giungiamo infine alle godibilissime tracce nove e dieci, ovvero Scavenger Hunt, un distinto brano in cui la fanno da padrone in un ottimo duetto, la chitarra elettrica e la voce di Stan Ridgway, ben sostenute dal resto degli strumenti, e la lenta Behind the Mask, ballata elettrica che impreziosisce assolutamente l’intero lavoro.
Vi è spazio anche per un brano strumentale, ossia la title-track Neon Mirage, ben progettata, ben eseguita, epicamente western.
Insomma, dal polistrumentista americano era difficile aspettarsi, a questo punto della carriera, molto di più (ed, aggiungo, anche molto di meno). Neon Mirage si lascia ascoltare senza patemi di alcuna sorta, presenta due soli brani a mio avviso rivedibili, non innova ma rinverdisce i fasti di un genere destinato difficilmente a nuovi boom di vendite e di successo. Di certo non si tratta di un album facilmente assimilabile dalle nuove generazioni, per la sua poca immediatezza. Ma, bisogna aggiungere, il target cui si rivolge Stan Ridgway dubito fortemente sia quello dei giovani. Contento lui, contenti tutti!
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