Wavves
King of the Beach
(Cd, Fat Possum)
surf rock, punk-rock
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Il surf rock è un genere nato in America intorno agli anni ’60 e portato all’apice del successo da gruppi come i Beach Boys. Nel nuovo millennio, questo stile continua a fare proseliti e trova nei californiani Wavves terreno fertile su cui attecchire. Ed evolvere, perché da sole le tavole da surf e qualche camicia hawaiana non basterebbero a fare breccia nel cuore dei giovani avventori delle odierne spiagge made in USA.
Nathan Williams, mente e braccio della band, incarna perfettamente il sound riprodotto nelle proprie opere: giovane nerd dedito al cazzeggio, all’alcool e a tutto ciò che può fare di lui una star “maledetta” (vedi alla voce forfait dato al Primavera Sound Festival di Barcellona nel 2009, in seguito all’assunzione di un cocktail di ecstasy e Valium), in tre anni ha messo una seria ipoteca sul suo futuro. In King of the Beach, terzo album della band, ha dato una virata meno low-fi alla sua musica, un surf rock intriso di punk, sporcato di psichedelia e saturo di garage.
King of the Beach, pezzo che apre l’omonimo album, è sicuramente il portabandiera del genere surf: molto più rock di quanto osato dai precursori Beach boys, ma al contempo molto British, con un cantato vagamente cantilenante che mi ha ricordato (lungi da me fare paragoni) Liam Gallagher dei (fu) Oasis. Dodici tracce così, però, scadrebbero nella monotonia, rischiando di far perdere al clima spiaggia-sole-mare-felicità instaurato nei primi due pezzi la sua allure.
Meglio lasciare spazio quindi a tutto quel miscuglio di generi che poi è la componente vincente del sound dei Wavves: When will you come potrebbe rientrare tranquillamente nella discografia dei Jesus and Mary Chain, mentre Post Acid mette in pista un punk rock decisamente più accattivante. Take on the world suona come il pezzo meno grezzo e più ingentilito dei Nirvana, mentre Convertible Baloon riporta in auge una psichedelia tipicamente 70s di matrice woodstockiana.
Green eyes è una traccia che trovo davvero interessante, forse per quel suo sfociare direttamente e armonicamente in un brano come Mickey Mouse, che poco ha da spartire con il precedente. A chiudere il cerchio, Baby say goodbye, decisamente profetico come titolo, per un finale col botto che lascia ampio spazio a un momento strumentale.
Nathan Williams sarà giovane, ma è anche un volpone: quest’album è un ottimo catalizzatore di pubblico ed esperti del settore. Ci potete scommettere: con la giusta promozione (e siamo sicuri che saranno i più programmati nelle college radio della West Coast), sentiremo ancora parlare – e molto – dei Wavves.
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