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Best Of 2024 di Rockshock

I nostri redattori condividono le loro scelte personali, raccontando quali album hanno plasmato il loro 2024 e perché meritano un posto nella vostra collezione.

I migliori album del 2024: le scelte della redazione di RockShock.it

Il 2024 si è rivelato un anno sorprendente per la musica alternativa. Tra ritorni inaspettati e nuove rivelazioni, la scena indie ha dimostrato una vitalità straordinaria, rendendo particolarmente complesso il nostro consueto esercizio di fine anno. Ogni redattore ha selezionato e difeso le proprie scelte durante la nostra tradizionale (e accesa) riunione di dicembre, dove caffè e vinili hanno fatto da sottofondo a discussioni appassionate sui dischi che hanno definito questi ultimi dodici mesi.

Dal post-rock visionario alle sperimentazioni elettroniche più ardite, dalle chitarre noise al folk introspettivo, il panorama musicale si è arricchito di opere che meritano di essere celebrate. Nelle righe che seguono, i nostri redattori condividono le loro scelte personali, raccontando come questi album hanno plasmato il loro 2024 e perché meritano un posto nella vostra collezione.

Preparatevi a un viaggio sonoro attraverso le release più significative dell’anno, dove ogni scelta riflette non solo il gusto personale di chi scrive, ma anche l’evoluzione continua della musica indipendente nel suo complesso.

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Massimo Garofalo

1. Midas Fall – Cold Waves Divide Us
Tra testi che cercano di dare spallate alla depressione, in cerca di catarsi (I Am Worng), e altri invece in cui lasciarsi tirare sul fondo quando proprio siamo giù di morale (Monsters), Cold Waves Divide Us è un album da non perdere e i Midas Fall una band da amare visceralmente.

Midas Fall: recensione di Cold Waves Divide Us

2. Laurie Anderson – Amelia

In un’epoca in cui la musica spesso sembra prodotta in serie, Laurie Anderson ci ricorda cosa significa creare arte vera e propria. Amelia non è solo un ascolto, è un’immersione totale in un mondo sonoro che vi lascerà pensierosi, emozionati e, soprattutto, ispirati.
Mettetevi le cuffie (delle buone cuffie), chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare. Con Amelia, Laurie Anderson non sta solo facendo musica, sta ridefinendo cosa può essere la musica. E noi siamo fortunati a essere qui per ascoltarla.

Laurie Anderson: recensione di Amelia

3. Francesca Bono – Crumpled Canvas

Questo esordio solista conferma Francesca Bono come una delle artiste più interessanti della scena indipendente italiana. Crumpled Canvas è un viaggio sonoro ed emotivo che merita di essere ascoltato e riascoltato, scoprendo ad ogni ascolto nuove sfumature e dettagli. Un disco destinato a lasciare il segno.

Francesca Bono: recensione di Crumpled Canvas

Migliore produzione: Floating Points – Cascade

Cascade è un lavoro che dimostra come sia possibile creare musica dance di alto profilo senza sacrificare la complessità compositiva e la ricerca sonora. Un must-have per chi apprezza la musica elettronica nelle sue forme più evolute e ricercate.

Floating Points: recensione di Cascade

ex aequo con Monolake – Studio

Studio si presenta come un’opera matura e sofisticata che consolida ulteriormente la reputazione di Monolake come innovatore nel campo della musica elettronica. È un album che richiede e premia l’ascolto attento, rivelando nuovi dettagli e sfumature ad ogni riproduzione. E l’ascolto in cuffia… rivela sorprese continue.

Monolake: recensione di Studio

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Elisabetta Laurini

(tutti ex equo)

The Cure – Songs Of A Lost World

Concepito in parte dal vivo durante il tour Shows Of A Lost World, Songs Of A Lost World è un album da togliere il fiato. Questa non è una recensione ma un atto dovuto, un atto d’amore incondizionato per una band irripetibile e un disco monumentale nel quale mi riconosco appieno. Songs Of A Lost World arriva esattamente nel momento più opportuno della mia vita, così mi inchino, mi ricompongo e ringrazio.

The Cure: recensione di Songs Of A Lost World

Date at Midnight – Fading Into This Grace

A cinque anni di distanza dall’ultimo EP Reverse Resilience, I Date at Midnight tornano alla carica con un masterpiece di post-punk tinto di deathrock, darkwave e finissimo gothic rock. Fading Into This Grace è senza ombra di dubbio il più bel disco della band romana: il più completo, il più equilibrato, il più maturo e forse anche il più inquieto.

Date At Midnight: recensione di Fading Into This Grace

The Shadow Majlis – The Departure

Da Toronto il suono magico e struggente dei The Shadow Majlis, dream team di lusso tra leggende della musica contemporanea (David J per citarne uno) e artisti d’eccellenza accolti da ogni parte del mondo. Un disco costruito su una lacerante esperienza emotiva tradotta in musica con un mix di post punk, intuizioni orientali e tribalismi afro per uno stile neo-globale alternativo completamente fuori dagli schemi. The Departure è un disco immenso, uno di quelli che lasciano il segno, per sempre.

The Shadow Majlis: recensione di The Departure

Andrea Musumeci

1. Karate – Make It Fit

Dopo vent’anni di assenza, i Karate tornano a riaccendere l’entusiasmo dei fan di vecchia data con il nuovo album-reunion Make It Fit, dimostrando ancora una volta di saper catturare la scintilla retrò dell’indie-rock americano. Un’attitudine che si rinvigorisce nella virtuosa corrispondenza tra cifre stilistiche eterogenee: si va da un coinvolgente rhythm’n’blues seventies di influenza Thin Lizzy al roots-reggae rockettaro dei Joe Strummer & The Mescaleros, passando per un rock tagliente e stralunato a metà tra Clash e Television.

Karate: recensione di Make It Fit

2. Tindersticks – Soft Tissue

Con Soft Tissue, i Tindersticks mostrano ancora una volta la grande capacità di trasmettere un linguaggio discreto e raffinato, che si tinge di intimità magica, soave e al tempo stesso tormentata. Un album dal fascino sobrio, umbratile e rassicurante, che si confà alla personalità dei Tindersticks: quando nel pathos orchestrale di arrangiamenti d’archi, fiati e drum machine, quando nel richiamo malinconico di sinuose ritmiche di bossanova, mentre rotondità soul di scuola Motown si mescolano a ombrosi tremolii di un dream-folk allucinato e ad ipnotiche atmosfere lounge-dub.

Tindersticks: recensione di Soft Tissue

3. TV Lumière – Il Gioco Del Silenzio

Con il nuovo album Il Gioco Del Silenzio, i TV Lumière confermano il loro trademark autorale sia in fatto di ricercatezza di suoni e atmosfere, sia in materia di impegno testuale e pensiero critico. Parole e musica confluiscono in un elegante cantautorato esistenzialista alla La Crus e CSI, dove suggestioni malinconiche e chiaroscurali di ballate post-folk si mescolano a riverberi di un dark-folk desertico, sfilando tra melodiose luccicanze di fattura post-rock e sonorizzazioni cinematiche.

TV Lumiere: recensione de Il Gioco Del Silenzio

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Francesco Brunale

1. Estra – Gli Anni Venti

Gli anni novanta non muoiono mai. Prima i Karma, ora la band di Giulio Casale. Le reunion, in certi casi, fanno davvero bene al cuore e alle orecchie. Songwriting ispirato, liriche da far studiare nelle scuole e canzoni che crescono ascolto dopo ascolto. Un ritorno bellissimo che ci fa dire “quanto ci siete mancati”!

Estra: recensione de Gli Anni Venti

2. Life In The Woods – Looking For Gold

Il sound dei Rival Sons rivive in questo trio romano, un tempo prodotto anche da Gianni Maroccolo. Il loro esordio sulla lunga distanza è pieno di grandi canzoni e trasuda rock dall’inizio alla fine. Un bel prodotto che lascia sperare per un futuro ancora più radioso.

Life In The Woods: recensione di Looking For Gold

3. Furious Jane – Vicious

Da Napoli a Los Angeles, almeno nel loro caso, la strada è vicinissima. Dai Buckcherry passando per i Kiss sino ad arrivare ai Velvet Revolver. La loro musica è un concentrato di riff al vetriolo con un cantato sporco e ruvido. Se fossero americani sarebbero già noti. Sono italiani ed hanno urgente bisogno di uscire dai confini patri per essere realmente apprezzati.

Furious Jane: recensione di Vicious

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Simona Pietrucci

1. Einstürzende Neubauten – Rampen

Rampen è l’album più raffinato della carriera degli Einstürzende Neubauten ed è pop (come annunciato nel titolo) solo e soltanto nella misura in cui gli episodi di terrorismo sonoro sono ridotti ai minimi termini.

Einsturzende Neubauten: recensione di Rampen (apm: alien pop music)

2. Fontaines D.C. – Romance

Romance è una testimonianza della loro capacità di rinnovarsi senza perdere la propria essenza, promettendo di consolidare ulteriormente la loro posizione nel panorama musicale internazionale.

Fontaines DC: recensione di Romance

3. The Smile – Cutouts

Quello che una volta era considerato uno spin-off del gruppo originario ad opera dei due “figlioli prodighi” (sì, ho controllato sulla Treccani…) è ormai una creatura che cammina sulle proprie gambe.

The Smile: recensione di Cutouts

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Luca Paisiello

1. The Cure – Songs Of A Lost World

Solo l’apertura di Alone e la seguente And Nothing is Forever vale l’attesa di 16 anni. Sappiamo che c’è ancora del materiale inedito da pubblicare, per cui è tornato il momento di venerare la band che più di tutte ha saputo celebrare la nostalgia, il ricordo, il tormento, l’amore e la morte in ogni suo album.

The Cure: recensione di Songs Of A Lost World

2. Smashing Pumpkins- Aghori Mhori Mei

Dopo 17 anni, 5 album non all’altezza, (più i 3 di Corgan), e annunci del tipo “Faremo il seguito di Mellon Collie”, finalmente chitarre, chitarre, chitarre. Questi sono i Pumpkins che mi fanno consumare le pile, se avessi ancora un walkman con cui struggermi nei miei giri urbani.

Smashing Pumpkins: recensione Aghori Mhori Mei

3. rOMA – Puff

Il terzo gradino del podio va ad un musicista romano che già conoscevo in “elettrico” e qui ha fatto tutto al contrario, proponendosi in acustico. Puff è un disco di orgoglio e attaccamento alle proprie radici, alla voglia di non fare come quelli che se ne vanno per cercare fortuna altrove, ma di rimanere a costruire un futuro in una terra maltrattata, spesso senza speranze. Con una chitarra, testi sociali e racconti di quotidianità, quella di rOMA è una delle uscite che più mi ha coinvolto quest’anno.

rOMA: recensione di Puff

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Marcello Berlich

1. Petrigno – La Lingua Del Santo

La morte di un amico, l’elaborazione di un lutto. Mauro Petrigno da Palermo ai boschi di Tolfa. Suoni scabri, ruvidi; blues, cantautorato e gospel che incontrano il filone della musica alternativa. Otto pezzi in cui assieme alla Perdita si affronta sé stessi, le proprie debolezze, dipendenze, storture.

Petrigno: recensione de La Lingua Del Santo

2. Judas Priest – Invisible Shield

La più longeva rock band del pianeta (Rolling Stones a parte) è tornata con ciò che sa fare meglio. Loro che quando l’heavy metal è nato erano in circolazione già da un bel po’. Un disco di ‘rock’ duro e puro, fatto per far alzare la gente dalla sedia e scapocciare su e giù, possibilmente fingendo di imbracciare uno strumento. Niente scorciatoie, nessuna paraculata, cover o improbabili duetti: solo la fiamma, ancora accesa dopo mezzo secolo, che li spinge a scrivere pezzi e a entrare in studio a registrarli.

Judas Priest: recensione di Invincible Shield

3. Bones UK – Soft

Cinque anni dall’esordio, ma l’attesa non è stata vana: con Soft, le Bones UK hanno centrato il bersaglio. Frustate elettriche, sonorità urticanti, flirt hip hop, accenni elettro-clash e pop, per un discorso continuamente volto all’essere sé stessi, al non cedere a compromessi, sociali come interpersonali, a non rinunciare a chi si è per potersi adeguare o mettere in competizione con gli altri.

Bones UK: recensione di Soft

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Simona Fusetta

1. Subsonica – Realtà Aumentata

Con questo album, i Subsonica si sono guardati dentro, ritrovando nelle loro radici la voglia e il coraggio per continuare insieme. (Ri)Scoprendo quanto sia incredibilmente bello e unico essere i Subsonica.

Subsonica: recensione di Realta Aumentata

2. James Jonathan Clancy – Sprecato

In questo primo album da solista di una pietra miliare dell’indie italiano c’è un mondo da esplorare, fatto di suoni e di parole capaci di grande profondità e ammaliante bellezza.

James Jonathan Clancy: recensione di Sprecato

3. Fantastic Negrito – Son of a Broken Man

Fantastic Negrito è un artista dal talento smisurato che con questo album intimo e personale si è messo ancora più in gioco, risultando familiare e imperfetto come tutti noi.

Fantastic Negrito: recensione di Son Of A Broken Man

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Fabio Busi

1. Idles – Tangk

Un album contaminato nel sound: contaminazione, termine troppo spesso abusato ma comunque perfetto per descrivere il lavoro 2024 della band di Bristol. Coprodotto da Nigel Godrich, insieme a Kenny Beats e Mark Bowen, questo Tangk odora di capolavoro.

Idles: recensione di Tangk

2. Tre Allegri Ragazzi Morti – Garage Pordenone

In quest’album i Tre Allegri Ragazzi Morti raggruppano un po’ tutte le sonorità che li hanno accompagnati in trent’anni anni di carriera; un disco dove troviamo creatività, rabbia, poesia e tante sfaccettature che i fan dei TARM conoscono bene. Album italiano dell’anno.

Tre Allegri Ragazzi Morti: recensione di Garage Pordenone

3. Swan·Seas – Songs In The Key Of Blue

Una graditissima sorpresa quella del gruppo milanese, che regala in questo 2024 il primo album di lunga durata. Disco che vede una commistione di sonorità, fra shoegaze, indie rock, elettronica e dream. Imperdibile.

Swan•Seas: recensione di Songs In The Key Of Blue

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Stax

1. The Smile – Cutouts

The Smile e il nuovo Cutouts: quello che una volta era considerato uno spin-off dei Radiohead è ormai una creatura che cammina sulle proprie gambe.

The Smile: recensione di Cutouts

2. Nick Cave and The Bad Seeds – Wild God

Wild God è un album necessario, musicalmente complesso, destinato ad ampliare la già vasta platea di seguaci di Nick Cave and the Bad Seeds.

Nick Cave: recensione di Wild God

3. Ufomammut – Hidden

“Evoluzione” e “ricerca” sono le parole chiave del nuovo corso della band piemontese Ufomammut, 25 anni di carriera, 10 album all’attivo e autori di uno dei capolavori del 2024.

Ufomammut: recensione di Hidden

 

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