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Bones UK: recensione di Soft

Cinque anni dall'esordio, ma l'attesa non è stata vana: con Soft, le Bones UK centrano il bersaglio, e di mezzo c'è anche l'Italia.

Bones UK

Soft

(Sumerian Records)

indie

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Il secondo disco è il più importante nella carriera di un artista, cantava qualcuno ormai parecchi anni fa; ancora di più, se l’esordio delle Bones UK  ha destato un certo rumore con un singolo, (Pretty Waste) che si era beccato una nomination ai Grammy.

Avrebbero potuto seguire un percorso canonico, Rosie Bones e Carmen Vandenberg, coadiuvate dal batterista Heavy: battere il ferro finché è caldo, far uscire magari un secondo lavoro a breve giro, consolidando il successo.

Invece, nulla: cinque anni di silenzio (eccetto qualche singolo qua e là), certo non del tutto inattivi (hanno suonato a fianco di Queens Of The Stone Age, Smashing Pumpkins e Korn tra gli altri), non sono pochi.

Parecchi magari se le saranno pure dimenticate, a questo punto; altri si saranno chiesti che fine avranno fatto.

La risposta sta tutta in questo Soft, di nome ma di fatto non del tutto: una prima parte, anzi. in crescendo, tra le frustate elettriche dell’opener Bikinis, flirt hip hop (Me), accenni elettroclash (Dopamine), che culmina con una I won’t settle in cui arriva a dare man forte Mike Shuman, bassista dei già citati QOTSA, che si apre con un “Musica!!!” esclamanto in italiano, probabile omaggio alla sapiente produzione del collaboratore di lunga data Filippo Cimatti.

Più equilibrati i restanti sette degli undici pezzi complessivi, con episodi come Us e Teeth che sono gli episodi più volti al pop, ballata semiacustica la prima, movimentata, ‘sintetica’ e decisamente ballabile la seconda, mentre con Fix e Blood si ritorna a sonorità decisamente urticanti e la chiusura è affidata a una What If I Die decisamente dolente, che fa il paio con una Knee Deep colma di rabbia per la voglia forse di una vita meno in cui si riesca semplicemente a galleggiare senza dover affondare in angosce esistenziali.

È un disco volto all’autostima e all’autoaffermazione, Soft, in cui spesso si parla in una prima persona che smette presto di essere un soggetto singolo per accomunare chiunque sia all’ascolto: e la già citata I Won’t Settle è il centro di gravità di un discorso continuamente volto all’essere sé stessi, al non cedere a compromessi, sociali come interpersonali, a non rinunciare a chi si è per potersi adeguare o mettere in competizione con gli altri.

Un inno all’essere Perfectly Imperfect, come cita il titolo di un altro dei titoli presenti, Soft insomma convince, nel suo essere efficacemente bilanciato senza annoiare mai, nel non offire veri e propri passaggi a vuoto, ma anzi inanellando una serie di brani tra i quali parecchi sono i potenziali singoli: ben cinque sono accompagnati da video, c’è da pensare che gli estratti previsti non siano pochi.

Le Bones UK sono tornate: speriamo, stavolta, per restare.

https://bones-uk.com/

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Marcello Berlich
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