Il 4 ottobre 2002 prendeva la luce del cyberspazio RockShock.
Sono passati 20 anni e li dimostriamo tutti, con un pizzico di orgoglioso anacronismo.
RockShock nasceva in un momento particolare, in cui in campo c’era uno scontro epocale fra due forze: eravamo in pieno boom di vendite dei CD, boom che stava mano a mano sgonfiandosi sotto i colpi della pirateria e del file sharing (Napster ed Emule in testa).
Pubblicare un video dentro una pagina internet era un’operazione suicida: le connessioni erano lentissime.
I CD costavano un sacco di soldi e ne uscivano tantissimi (ma sempre meno della miriade di singoli ed EP che ci impestano oggi) e i vinili stavano finendo nel dimenticatoio.
RockShock nasceva con la pretesa di fare un po’ da Virgilio (da guida) tra una pletora di uscite discografiche che nessuno poteva permettersi di acquistare alla cieca, avendo come missione quella di andare a scovare in giro per la rete contenuti multimediali che – a braccetto con le recensioni – riuscissero a far fare acquiti più consapevoli ai melomani impenitenti come me e la squadra che mi circondava allora (e qualcuno c’è ancora, a circodarmi su queste pagine).
Allo stesso tempo, ben presto RockShock ha comincato a pubblicare un fittissmo calendario concerti a cui s’è aggiunta l’agenda dei principali festival europei (la cui frequentazione era un vizio che presi già dal 1994, a Reading, a cui s’aggiunse la consapevolezza e la frustrazione che da noi cose del genere non sarebbero mai state possibili. E ancora non lo sono, sigh!).
Oggi è tutto diverso. I vinili sono tornati un auge (a costi stratosferici) e solo in parte riescono a compensare i mancati guadagni che non-derivano dalla risicate royalties offerte dai servizi di streaming legali (Spotify in testa). L’accesso alla musica è più semplice, immediato, spesso gratuito, e ognuno può farsi un’idea del valore delle nuove uscite con la propria testa e con le proprie orecchie, collegate agli auricolari connessi allo smartphone d’ordinanza.
Ma.
Ma il livello d’attenzione è sempre più scarso, le uscite assecondano gli algoritmi di servizi dei streaming e sono sempre più brevi (singoli ed EP) e l’esperienza d’ascolto è stata sostituita da una sorta di flusso muicale continuo che ha più a che fare con un sottofondo che con l’esperienza immersiva che avevamo 20 anni fa.
E allora che ci sta a fare ancora in giro RockShock?
Con un pizzico – ma manco tanto – di anacronismo, abbiamo la pretesa di accendere un faro sulle tantissime uscite discografiche che meriterebbero un posto al sole decisamente diverso da quello che riescono a spallate a conquistarsi autonomamente. Continuiamo orgogliosamente a fare da Virgilio ai tanti Dante che vogliano avventurarsi con sincera curiosità in un inferno di uscite schizzofreniche, a informare i turisti della musica che ogni anno fanno la valigia per andare a un festival vero al di là delle Alpi, a chi sa che l’esperienza di un concerto è irripetibile e incastrata nella memoria di uno smartphone non restituirà mai le stesse emozioni della nostra memoria.
Sono un inguaribile romantico, come lo sono i preziosisimi redattori di questo magazine e a cui non smetterò mai di dire grazie. Ai vecchi Simona F, Luca e Fabio, all’inossidabile Francesco, al prezioso Andrea, alla scurissima Elisabetta, alle new entry Simona P e Vincenzo, a tutti quelli che sono passati su queste pagine (per lasciarle verso esperienze professionali a tempo pieno o a cui la vita non ha lasciato più tempo alla scrittura): GRAZIE. Ma soprattuto GRAZIE a voi che – con fedeltà e assiduità – continuate a seguirci e ad abbracciare la nostra visione della Musica.
Massimo Garofalo
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