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Frank Never Dies: recensione di Red Moon Rising

Lo straordinario ritorno in full-lenght dei romani Frank Never Dies. Red Moon Rising inchioda all'ascolto con un lisergico mix di psichedelia '70 e post rock dalle tinte oscure.

Frank Never Dies

Red Moon Rising

(Argonauta Records)

post rock, psychedelic rock

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Voi come lo chiamate un disco capace di catturare e conquistare l’ascolto, dall’inizio alla  fine, senza soluzione di continuità?

Io lo chiamo prodigio, uno di quelli che per fortuna accadono ancora ed hanno il potere di  smorzare l’abusato tedio dovuto a decine e decine di produzioni analoghe e talmente prive di qualsivoglia guizzo creativo da non lasciare traccia alcuna.

Per chi come me vive la musica come forma d’arte per eccellenza, capace sì di emozionare ma anche di indicare nuovi percorsi, rivelare territori inesplorati e perfino deviare il cammino verso piaceri sconosciuti, il nuovo disco dei romani Frank Never Dies arriva provvidenziale come la manna dal cielo.

A due anni di distanza dal mirabile esordio in full-lenght, Behind The Paradox, che mi aveva conquistata con la forza di un linguaggio privo di parole, la band torna sulle scene con un nuovo lavoro carico di pathos, parlo di Red Moon Rising appena uscito su Argonauta Records.

I Frank Never Dies, nati nel 2018 dal talento di Mirko Giuseppone, già precedentemente coinvolto in progetti rock alternative/post grunge insieme a Simona Ferrucci (synth), coadiuvati da Luca Zannini alla batteria e Maurizio Troia al basso (negli ultimi mesi sostituito da Francesco Papadia), sono una fucina inesauribile di ricerca e sperimentazione a tutto tondo, le loro accattivanti concatenazioni sonore caratterizzano un sound personale ed eclettico gonfio di atmosfere aggressive ma anche melodiche in un vero e proprio dialogo tra i suoni vintage analogici dei synth, la chitarra d’ispirazione ’70 e influenze che vanno dal post rock al jazz passando per il funk e il grunge.

La chiave di lettura di Red Moon Rising è la misteriosa, enigmatica e adescatrice luna rossa fotografata al momento della sua nascita, ciclica e costante un giorno dopo l’altro, la luna simbolo di adorazione e sgomento, la stessa di fronte alla quale l’umanità si ferma a riflettere, si interroga e infine si lascia sedurre.

La prima tappa di questo cataclisma emozionale si intitola Peep Show, brano strumentale di non subitaneo impatto, intimo, interlocutorio e talmente maliardo da catapultare chi ascolta in un contesto fuori dal tempo, affascinante e torbido, tratteggiato dal basso sinuoso e dalla splendida chitarra gilmouriana di Mirko che languida grida e piange  sorretta dagli altri imprescindibili strumenti in un raffinatissimo climax ascendente, profuma di club notturni avvolti in concentriche spire di fumo tra pareti invalicabili di suono all’interno dei quali è facile immaginare una sinuosa figura di donna mentre scopre le sue grazie eccitando gli astanti.

La ritmica impetuosa della title track, primo singolo estratto accompagnato dalle psichedeliche immagini di un video, racconta la disperata ricerca di redenzione attraverso l’unica forma accessibile ovvero il culto del fuoco con relativa scia di cenere e silenzio come mezzo di distruzione e purificazione assoluta, tribalismi magistrali contro la potenza evocativa di Mirko che qui canta e come.

 

Poi arrivano The Fortune Teller, secondo meraviglioso, ipnotico, lisergico, singolo estratto e la trasognata Audrey, un viaggio visionario sulla calotta terrestre, un volo ad ali spiegate oltre le nuvole, un tuffo negli oceani più profondi, un sogno ad occhi aperti tra attimi di sospensione onirica e aperture à la God Is An Astronaut che lacerano il cuore, ad Audrey non importa di nulla perché forse si è persa tra le note di questa traccia da brivido.

Tocca le corde più profonde dell’anima, One Of These Nights, immersa in una bolla di malinconico smarrimento, suona come un giro di giostra sulle montagne russe dei sentimenti spesi tra attese, ricordi, urgenze, bramosie, speranze, disillusioni e nostalgia (di quello che ho perso).

Lascio per ultime, come faccio di solito, le due tracce che non riesco proprio a togliermi dalla testa, l’imponente e magnetica Living Spell dove Mirko, tra torbide storture e grida viscerali, regala una grandiosa performance vocale e la sorprendente Know My Name dal profumo fageniano, capace ancora una volta di mescolare le carte in tavola offrendo un ventaglio di sensazioni divergenti da tutte quelle percepite fin qui, brano arioso tra fusion, funk e pop di elevatissima fattura, eccellente sezione ritmica, chitarra superlativa, alla voce Simona (novella Tracey Thorn) in una interpretazione strabiliante.

Red Moon Rising dei Frank Never Dies è un disco da acquistare ieri, oggi è già tardi, avete perso tempo utile per farvi del bene.

https://www.frankneverdies.com/

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