Acajou
Under the Skin
(R(esisto) Records)
rock, new wave, dark
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Under The Skin è il secondo album degli Acajou, band conosciuta negli anni ’90 come capostipite dello stoner in Italia.
Rinnovata la lineup, con un nuovo front man alla voce, lanciano il nuovo disco con 8 brani inediti
Negli anni ’90, ed all’inizio dei 2000, gli Acajou sono stati una realtà interessante nella scena underground stoner italiana.
Suonare stoner rock in Italia è stata una scelta anticonformista, che andava controcorrente rispetto al trend di quel periodo storico.
Dunque, quel sound, massiccio come un orso Grizzly, a metà strada tra il sound noise dei Soundgarden di fine anni ’80 e le pesanti distorsioni degli Electric Wizard, oggi è solo un lontano ricordo.
Il nuovo disco Under the Skin sancisce la trasformazione della band: le distorsioni sono praticamente scomparse dallo spartito ed il songwriting appare più moderno, più curato, più morbido, sebbene non manchino diversi riferimenti stilistici degli anni ’70.
Oggi, gli Acajou propongono sonorità rock, new wave, funky, più vicine ai Kyuss di Catamaran, ai The Police, con atmosfere più affini alle linee darkwave melodiche di Peter Murphy.
Il timbro del nuovo cantante, Marco Tamburini, trasmette il giusto mood in ogni traccia, sebbene, in alcuni passaggi, risulti poco incisivo, forse leggermente sottotono.
I testi di Under the Skin sono frammenti di vita, istantanee che descrivono un mondo imperfetto. Tutto il disco è cantato in lingua inglese.
Sappiamo bene che cantare in italiano rappresenta una bella sfida per i cantautori: molti, nel passato, hanno optato per la più adattabile lingua inglese, come, ad esempio, i The Zen Circus e gli Afterhours ad inizio carriera. Auspichiamo che anche gli Acajou possano prima o poi cimentarsi in un album nella loro lingua madre.
Il disco si apre con il rombo del motore Ferrari.
Puoi dire che il tempo scorre veloce come a bordo di una Ferrari, e che è troppo tardi per tornare indietro, mentre We’ve Never Met, che ricorda certe atmosfere new wave anni ’80, riflette sull’illusione di conoscersi.
Possiamo dire di conoscerci veramente?
Old Home Boy è il primo singolo estratto dal nuovo disco, con tanto di videoclip.
Pezzo malinconico, triste, nostalgico, in stile The Police e Depeche Mode, nel quale Tamburini percorre l’oscurità della città e sente la mancanza delle colline del suo paese natio.
La title track Under the Skin passa attraverso la solitudine che uccide. “Non posso sentire ciò che non vedo, non posso amare qualcuno che non conosco, la solitudine uccide. Non sentirò ciò che non dici, ma posso scrivere senza la tua immagine”.
Le note new wave rock funky di Into the Waves ci raccontano quest’amore più forte di qualsiasi cosa, forte come una roccia, che protegge dalla pioggia, che rimane con noi anche se camminiamo verso terre lontane, che rimarrà con noi per sempre, anche fra le onde.
Sometimes ha un sound fresco, somiglia vagamente a Lotus Flower dei Radiohead.
Quando si è giù e si ha bisogno di parlare con qualcuno, ci si sente soli, ma basta la musica per non pensare più a niente. Il ritornello dice: “Portami dove la musica illumina la mia anima, dove non posso essere disturbato e ballo. Non m’importa perdere il controllo, metti su quel disco e la musica illumina la tua anima”.
Jeez (In the Mood for Love) è un’esclamazione per dire Gesù. Una canzone sulla pace, sulla fede, perché “Sei beautiful quando sei nel mood dell’amore”, forse inteso come utopica armonia con l’universo.
Dim Noise chiude l’album con un ritmo quasi disco-samba, e con un assolo finale che ricorda Carlos Santana.
Il nuovo disco della band padovana mantiene la radice pregiata e curativa del blues, le melodie eteree dei poeti maledetti del rock e la freschezza della musica di questi anni.
Gli Acajou, pronuncia acagiù, sono composti da Filippo Ferraretto al basso, Nicola Tomas Moro alla chitarra, Simone Ruffato alla batteria e Marco Tamburini, voce e synth.
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