The Prodigy
Roma, 19 dicembre 2005, PalaLottomatica
live report
Ho ancora la cassa toracica che trema, che vibra.
Non importa la poca gente o che l’acustica fosse la solita oscenità dell’antico PalaEur rivisto e non corretto. Non importa che il pubblico in tribuna vip, gloriosamente impenetrabile anche agli addetti ai lavori, sia rimasto immobile per tutta la durata del concerto. E non importa nemmeno del fumo (!) a fiotti, dei pestoni, dell’ovvio eccesso di assenza di zelo nel pogo. Conta ancora meno che la plastica sia stata eccessiva, che Flint fosse decisamente appesantito e stranamente in mise semi-umana, che la fiction della batteria potevano benissimo evitarsela e che Maxim ci abbia sfanculato per tutto il concerto.
“Fuck” (in varie salse), ripete Reality, come per dire: chi se ne frega, siamo i Prodigy e non si discute. Ha ragione: Their Law. Come appunto la raccolta di singoli intitolata Their Law – The Singles 1990-2005.
Una potenza di fuoco devastante, orde di suono che pulsa, magma che inghiotte. Più che un concerto, uno spettacolo pirotecnico. Un’aggressione a mano armata, una calca di violenza sonora. Un’onda d’urto effettata senza nessuna misericordia. Senza pietà, direttamente nelle ossa. 90 minuti secchi di orgia auditiva compatta, omogenea e massiccia (seppur nella sua plastilina).
E allora tanto vale… mi sono lasciato fare impunemente, senza minima resistenza. “Fuck”, nessun controllo, nessun pensare: andiamo. Firestarter, Back 2 (“the fuckin'”) Skool, Smack My Bitch Up, maledetti giri campionati, che turbinano nel cervello vorticosamente e non lasciano respiro. Woodoo People, Breathe, saltare, saltare, ondeggiare; la testa che piomba sui bassi perforanti, prova a rialzarsi sul levare come da apnea, crolla di nuovo sul battere che non lascia tregua.
Ossessivo il sound, senza via d’uscita. Mentre qualcuno a momenti mi vomita in faccia e liquidi di qualsiasi natura piovono dal cielo, felpe, sciarpe e maglie volano come aquiloni dello strip-tease delle centinaia di ragazzini nelle prime file, inizia il giro amniotico di No Good (Start the Dance)… L’aria, la poca rimasta, prende fuoco.
Alla fine del primo set (un’ora e dieci), più nessuno si regge sulle (sue) gambe, tonnellate di occhi in trance mesmerico attorno, panorama misto di quarta guerra mondiale e spiaggia nudista; sudore a slavine.
Non contenti abbiamo chiesto “More!”; a fischi, a urla, qualcuno a lacrime. Siamo stati accontentati.
…vorrei poter riportare immagini vivide del bis concesso con una Out of Space grazie a dio generosamente dub e una Poison da collasso definitivo, ma sarebbe uno sforzo vano.
Lasciate perdere l’heavy, lo ska, il rock. Volete sentire davvero dentro di voi qualcosa che vi sventri e poi vi liberi? Per chiunque non li abbia mai visti dal vivo, e non abbia un pacemaker impiantato… andate a vedere il prodigio.
“I got the poison, I got the remedy”. Loro sono il veleno, loro sono la cura.
[Si ringrazia sentitamente la direzione di RS per l’ospitalità, il ciceronismo turistico e musicale, il gossip e la rara compagnia…]