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Cora : L’aria che respiro soffoca

Il grunge cattivissimo di L'aria che respiro soffoca è il gran bell’esordio dei marchigiani Cora: 11 travolgenti brani di rabbia noise tutti nostrani urlati da una voce dolentemente incazzata

Cora

L’aria che respiro soffoca

(Cd, Jestrai Records)

grunge

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coraC’è chi ad ascoltare quelle sonorità grunge si stufa dicendo “bè sono tipo i Nirvana” o “bè sono tipo i Verdena” o “bè sono tipo i Soundgarden” partendo prevenuto. I Cora sono un po’ questo e un po’ quello, e difatti David Lenci, paladino del noise grunge indie rock italiano, li produce di corsa riconoscendo nel trio jesino quella band sanguigna e vera che mette davvero il cuore (e la rabbia, quanta rabbia) in questo disco di esordio.

Batteria, basso, chitarra e voce cartavetrata è la formula di questo trio che sfoga la propria abilità musicale in undici pezzi cantati in italiano, esagerando nell’esternare con un sound denso di carica cupa e tagliente gli influssi grunge, mescolati ad un noise fatto fuggire a briglia sciolta.

Nati nel 2005 a Jesi, dopo tre demo i marchigiani sfornano un album vigoroso e possente la cui adrenalina viene percepita già dalle battute iniziali de Il Sanchez, incattivendoci ancora di più preparandoci ai brividi che scorrono sulla pelle quando il lettore passa alla traccia due Nell’Arie,  decisamente un pezzone, il miglior brano del disco.

Bob Weston (bassista dei Shellac e braccio destro di Steve Albini) si mette alla console per dare una mano al mastering dell’album, convinto del valore di questo prodotto. Dopo due tracce discrete, la veloce Sasso e il lento Bora Lacrime in stile Alice in Chains, assistiamo ad una parte centrale fatta di sonorità cupe e noise, rischiando però di perdersi in eccessive evoluzioni stilistiche leggermente fastose, come in Impatto Lord Denning, in cui si nota l’esigenza di migliorare gli arrangiamenti con magari una seconda chitarra.

Si torna a devastare l’apparato auditivo con pezzi conturbanti come Dap, che riprende il titolo dell’album con chitarre marleniane e Colla che scuotono violentemente le casse dello stereo. Becky Hoover è decisamente in Alberto Ferrari style, l’ultima traccia dell’album è L’ultima sigaretta, uno strumentale buttato lì a tormentarci per il gran finale.

Mezzo disco è davvero ottimo, il resto riempie discretamente i solchi e mi fa incasellare questo promo nella parte del mio scaffale alla voce “band assolutamente da seguire”, da tenere in considerazione nei prossimi anni. Esordio buono, da migliorare, ma già apprezzabile.

http://www.myspace.com/coralacrime

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Luca Paisiello
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