Fol Chen
John Shade, Your Fortune’s Made
(Cd/Lp, Asthmatic))
indie pop
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I Fol Chen, al secolo Samuel Bing, Melissa Thorne, Baby Alex, Path Jeph, G-Bone e Julian Wass (nomi stralunati come la loro musica), nascono nell’assolata California e la stravolgono con il loro sound criptico e misterioso.
Per auto definizione semplicemente alieni ed alienanti, . il concept nascosto dietro l’album dalla copertina enigmatica altro non è che la storia del malvagio John Shade e dei ribelli che gli si contrappongono, i Fol Chen appunto.
The Believers apre l’album a ritmo incalzante, sussurri e sospiri cantilenanti, nenia infinita interrotta solo dalla metallica voce maschile. Sembra quasi di assistere alla marcia senza fine di una corte di alieni che silenziosa invade il mondo.
No Wedding Cake spunta fuori come un fungo dance anni ’80, tocco di vita prima della malinconica ballata You and Your Sister in Jericho.
The Idiot è la prima perla di quest’album. La voce maschile torna a predominare sui cori femminili e astratti, l’intro di chitarra in contrasto con il ritmo martellante e tamburellante che si adegua alla voce invece di farle da guida melodica. Tocchi di arpa e piano rendono questo pezzo un mix perfetto di modernità e gusto retrò.
Campane in primo piano per la ballata Red Skies Over Garden City, che fanno da preludio ai suoni elettronici di Winter, That’s All. L’orientaleggiante Cable TV sperimenta con voci robotiche e battiti di mani in sottofondo al posto della batteria. E a seguito di altre campane arriva anche la seconda perla, fulcro reale dell’album il cui titolo viene ripreso nel ritornello: Please John, You’re Killing Me. I colpi di batteria sembrano seguire un immaginario cardiogramma, le campane sono forti rintocchi ed echi lontani. The Longer U Wait sa di già sentito, nulla di nuovo all’interno dell’album e proprio per questo più martellante ed ipnotico. La chiusura è lasciata a If Tuesday Comes, che inizia corde pizzicate e fischi dal sapore hawaiano. Sembra quasi di aver acceso la radio ed essersi sintonizzati su una stazione lontana, che trasmette, gracchiando da chissà dove. Alle prime note della batteria il pezzo si apre, voci che fanno da strumenti e non guide, tamburelli e sonagli. Il coro alieno esplode, incalzante, ricco di ritmo e foga, per scemare lentamente in un’unica voce verso la nota finale.
Un viaggio quasi ai confini della realtà. Una seduta di ipnosi, voci che si fanno strumento e prendono per mano, conducendo nel mondo dei Fol Chen.
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